Ricadrà su ENI l'effetto della Robin tax in particolare per le controllate (la Robin tax è una specie di accisa su servizi resi al cittadino in regime quasi monopolistico: c'è da aspettarsi che verrà ribaltata sugli italiani in termini di maggior costo dei servizi pubblici: più che una Robin Hood tax è una Riccardo Terzo tax) ma la possibile fine del conflitto libico crea sicuramente un'opportunità per alcune compagnie europee, in particolare per Eni, BP e Royal Dutch Shell. La stampa riporta indiscrezioni in base alle quali il management della società starebbbe trattando con i ribelli libici. A noi non è assolutamente chiaro quale sia l'atteggiamento del possibile nuovo establishment nei confronti dell'Italia, dopo anni di alleanze con Gaddafi. Ma ci sembra più preoccupante la situazione di Unicredit, che non ha la forza di rilevare la quota azionaria in mano ai libici, che quella di Eni, dopotutto sempre un buon cliente della Libia. La società ha annunciato a luglio un Dividendo parziale di 52 centesimi che verrà distribuito a settembre. Il Tesoro ha bisogno di fare cassa, c'è quindi da aspettarsi che i dividendi delle pubbliche siano difficlmente oggetto di tagli. A questo livello il titolo rende circa il 7%. La società ha una situazione debitoria accettabile (intorno alla mezza volta i Mezzi propri) e vende a sette volte gli utili che anche se diventano otto per effetto della minore redditività prospettica delle controllate sono comunque pochi. Ci sembra una delle idee più di buon senso su un mercato, quello italiano, da cui staremmo generalmente alla larga, attendendoci un iter travagliato per la Finanziaria ed una possibile revisione delle condizioni alla Grecia dove, come ipotizzava Milesi nel corso della trasmissione di venerdì scorso, alcuni stati potrebero non ratificare gli impegni (già oggi la Finlandia anticipa di volere maggiori garanzie per aderire alla sua quota di garanzie). |