07-09-2011

Considerazioni sulla Crisi

In un articolo del Sole24ore di sabato 13 agosto il prof. Zingales si opponeva al divieto di vendite allo Scoperto condendo la sua analisi con le solite stucchevoli e purtroppo ormai risibili argomentazioni sulla capacità di autoregolamentazione del mercato, sulla necessità che lo si lasci evolvere liberamente, etc.etc. Mi permetto questa facile ironia perchè non bisogna essere professori a Chicago per accorgersi che quella che stiamo vivendo è la prima crisi del sistema capitalistico non dovuta a problemi strutturali (come la ciclica sovrapproduzione) del sistema, ma alla sua componente Finanziaria, ormai ingigantita a dismisura e trasformatasi da una risorsa necessaria per lo sviluppo economico e industriale ad un cancro che ne mina la stessa sopravvivenza.
Per sostenere le sue idee, Zingales citava l'esempio della banca A, creditrice presso la banca B, che per cautelarsi da un possibile Default di quest'ultima, vende allo Scoperto azioni della banca B come forma di assicurazione. Nella sua foga liberista Zingales dimentica innanzi tutto di spiegarci perchè un simile comportamento dovrebbe essere concesso ad una istituzione Finanziaria (la banca A) e non ad un privato cittadino (Savin1 per esempio) che detiene azioni della banca A, e quindi ne è in parte proprietario, e, altrettanto a ragione, vuole "assicurarsi" dal Default della banca B. Bisogna anche dire perchè nessuno possa vendere, per esempio, case e auto che non possiede; io sono proprietario di un' auto appena comperata e per cautelarmi da una eventuale discesa dei prezzi delle auto (e quindi del valore del mio acquisto) vendo allo Scoperto un'altra auto; perchè no, prof. Zingales?
L'errore enorme, e sostanziale, è però un altro: le vendite allo Scoperto, i contratti "Futures", i CdS, le opzioni, etc. sono nati sì come forma di assicurazione, ma ora non sono niente altro che scommesse. Quando in un giorno di contrattazioni si scambiano Futures sul petrolio per l'equivalente del consumo annuo del pianeta è evidente che non si tratta più di chi vuole cautelare la propria attività industriale da possibili variazioni dei prezzi, ma solo di chi vuole scommettere. Stessa cosa quando si vendono CdS sul debito, per esempio, degli Stati Uniti: chi può pensare che gli Stati Uniti falliscano e allo stesso tempo chi ci ha venduto i CdS onori il suo impegno?. Bene, le scommesse in moltissimi paesi sono legali e si può scommettere su qualsiasi evento (anche sul risultato delle prossime elezioni), ma vengono tassate e, attenzione, la tassazione non è sulla vincita ma sulla transazione!. Lo stato trattiene infatti, direttamente o tramite l'allibratore, una percentuale della scommessa (in Italia, considerando una media tra "quote fisse" e "totalizzatore", credo sia attualmente intorno al 10%, per le "slot-machines" è il 20%). Se la ritenuta avviene tramite l'agenzia che raccoglie le scommesse, questa si rivale sul cliente trattenendo, sulle quote che offre allo scommettitore, un Margine comprensivo di ciò, oltre che del suo guadagno atteso. In definitiva perciò chi scommette paga una tassa sull'ammontare della scommessa che effettua. Tutto ciò è anche giustificabile dal punto di vista della società; in una scommessa non si crea nè si distrugge ricchezza, semplicemente la si ridistribuisce, ma scommettere è una attività socialmente inutile, che non produce ricchezza, e quindi in ultima analisi chi vive di questo vive sulle spalle di chi svolge un lavoro produttivo. E' (o meglio, dovrebbe essere) per questa ragione che lo stato "disincentiva" il gioco d'azzardo, tassandone lo svolgimento e non il guadagno ottenuto. Una ottima parziale soluzione dei problemi finanziari attuali sarebbe quindi la tassazione delle transazioni finanziarie; quelle immateriali e/o differite nel tempo, non ovviamente la vendita e l'acquisto di azioni e obbligazioni effettivamente detenute. Basterebbe una aliquota molto inferiore (anche di 100 volte) al citato 10% a sortire due enormi effetti positivi: il primo, visto l'ammontare delle cifre in gioco, l'incasso di una grande mole di denaro; il secondo, più nascosto ma forse ancora più importante, di contrarre i margini a disposizione di queste attività e quindi di ridurre l'esorbitante numero di persone impiegate nelle varie istituzioni e società che vivono di ciò (oltretutto percependo in media stipendi ben più elevati di chi svolge lavori produttivi); sopravviverebbero solo quelli veramente bravi ed efficienti, e nel numero strettamente necessario. Il nostro paese, e tutto il mondo occidentale più in generale, ha drammaticamente bisogno di gente che sappia produrre beni e servizi, non carta straccia.
Sono francamente stupito che, a tutt'oggi, la proposta franco-tedesca in tal senso abbia raccolto così poche adesioni.
 

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