29-01-2009

Economisti, tante analisi e nessun contributo alla soluzione

La larga parte degli economisti diventati famosi in questi ultimi anni, divi di una società mediatica che si occupa in prevalenza dei fatti clamorosi sono quelli che avevano previsto l'avverarsi di questa crisi. Tra i più celebrati, da Roubini a Taleb non ce n'è uno che proponga soluzioni.
Negli anno '70 dopo la crisi petrolifera un economista allora quarantenne, Laffer, suggerì -fu l'inizio dell'epoca reaganiana-, che abbassando le tasse aumentava la propensione degli individui a produrre. In quegli anni funzionò a meraviglia, magari non ora che gli stati si sono assunti una gran quantità di debito.
Però era una proposta; questi soloni che appaiono ogni giorno sulle colonne finanziarie e, propositori di un diverso rigore, non esitano a spendere, o a farsi pagare otto mila dollari di elicottero per raggiungere Davos dove in questi giorni si tiene il summit annuale del gotha delle finanza, fino ad ora ci hanno solo detto cosa non funziona. Come in psicoanalisi, il "paziente" viene sottoposto ad anni di osservazioni, ma di soluzioni neanche l'ombra. Le scienze comportamentali possono senz'altro ridurre le reazione, del singolo o di massa, ad alcuni impulsi ripetitivi.
Gli economisti dovrebbero invece contribuire a restituire una missione alle conduzioni politiche dei vari stati. Si tratta probabilmente di scommettere su alcune industrie del futuro, i cui profitti attuali non ne giustificano forse l'esistenza, a partire dalle energie rinnovabili. Non siamo nel dopoguerra dove tutto era da ricostruire, bisogna inventarsi qualcosa di nuovo.
In Italia di programmazione economica non vi è neanche l'ombra, ci si preoccupa di salvare la Fiat ma nessun segno significativo di aiuto alla piccola media industria è visibile.
Si tratta poi di valorizzare quello che l'Occidente sa ancora fare meglio delle economie emergenti.
L'informazione è un caso tra tutti; il diverso contributo che alcune testate giornalistiche e televisive europee sanno dare a che il pubblico si formi una propria opinione autonoma non si acquisisce con dieci anni di boom economico.
Che gli economisti si concentrino sul capire cosa il malato sa fare meglio o quali sono le sue predisposizioni ad inventarsi qualcosa di nuovo.
Di analisi del perché ci troviamo dove ci troviamo ne abbiamo ascoltate troppe.



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