03-07-2006

Mercati del lavoro sotto la lente dell'OCSE

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (da cui l’acronimo OCSE) ha recentemente deciso di rivedere la strategia di politica economica che, una dozzina di anni fa, aveva concepito per i suoi 30 paesi membri con un preciso obiettivo: risollevare la pesante situazione di stallo dei mercati del lavoro. Il documento stilato conteneva, in sostanza, una lista di raccomandazioni destinate a sollecitare i vari governi affiliati al perseguimento di politiche finalizzate alla riduzione dei persistenti elevati tassi di disoccupazione. A tutt’oggi, non solo questo documento sembra essere ancora valido, ma è stato persino integrato con nuovi capitoli e parzialmente ristrutturato. Ciò significa che il nodo della disoccupazione non è stato del tutto sciolto, malgrado i progressi registrati negli ultimi anni.

La lista redatta dall’OCSE nel 1994 era piuttosto succinta e, fondamentalmente, conteneva un unico messaggio: aumentate l’occupazione, rendendo più flessibili i mercati del lavoro. Un chiaro invito alla deregolamentazione, dunque, che da allora ha portato molti benefici a una parte dei paesi OCSE, lasciando tuttavia insoluti i problemi congiunturali di altre nazioni. In effetti, osservando le attuali condizioni della disoccupazione soprattutto nel Vecchio continente si nota, senza grandi difficoltà, una certa disomogeneità. Tale risultato non è naturalmente sfuggito agli esperti dell’OCSE, convinti oggi che non esista una sola regola o disciplina per affrontare una problematica congiunturale così ricca di sfaccettature. Rispetto a dodici anni fa, il quadro generale è senza dubbio mediamente migliorato, grazie a una discesa dei tassi di disoccupazione e a una parallela risalita dei posti di lavoro. Diverse nazioni europee, tuttavia, non sono riuscite a muoversi in sintonia su entrambi i fronti, dando luogo a un movimento asincrono (contrazione della disoccupazione e stagnazione dei nuovi impieghi).

Tra le cause individuate dagli economisti, si pongono elementi di diversa natura. Molti paesi, ad esempio, hanno trascurato l’importanza di predisporre il mercato del lavoro all’assorbimento dei giovani laureati e diplomati, creando situazioni di disagio che si ripercuotono a catena sul quadro economico complessivo. Si osserva anche una crescita a macchia di leopardo per quanto concerne l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro, con paesi gravati tuttora dall’annoso malessere del lavoro irregolare, meglio conosciuto come economia sommersa o, semplicemente, lavoro nero. In alcune aree, questo fenomeno è, purtroppo, di allarmante attualità e si aggrava nelle zone contrassegnate anche da una persistente immigrazione, la cui manodopera risulta prevalentemente sfruttata e non regolarizzata. Un chiaro ostacolo, questo, alla naturale evoluzione del mercato del lavoro, senza contare tutti gli altri problemi che comporta sia a livello economico che sociale.

Lo studio dell’OCSE non trascura nemmeno il fatto che, negli ultimi anni, molti governi hanno introdotto programmi di pensionamento anticipato, sovente esortando i lavoratori ad accettarne le proposte anche nei casi in cui sussiste la volontà di proseguire la propria professione fino allo scadere dei termini regolari. Se il corso dello sviluppo demografico non dovesse mutare segno, l’invecchiamento medio della popolazione otrebbe generare nuove difficoltà alla crescita economica in generale; benché il 70% degli Svedesi e il 61% degli Americani di età compresa tra 55 e 64 anni siano tuttora attivi professionalmente, in altre nazioni, come ad esempio l’Austria o il Belgio, questa percentuale si è ridotta al 32%. Che cosa succederà in futuro? I governi riusciranno a erogare le pensioni, senza ritrovarsi in una pericolosa strettoia? È evidente che tale quesito sia fonte di preoccupazione per l’OCSE, intenzionata ad ammonire i membri che ricorrono al prepensionamento a ritmi troppo accelerati o, ancora peggio, che non hanno messo a punto, nel frattempo, programmi di inserimento della forza lavoro giovanile.

Come tutti i rapporti che si rispettano, l’OCSE ha completato il suo elencando i promossi e i bocciati. Più precisamente, rileva il settimanale The Economist, ha diviso i suoi membri in quattro gruppi, di cui due dichiarati “successful” (che hanno avuto successo) e gli altri due no.

Il primo gruppo, composto dalle nazioni di cultura anglosassone (benché comprenda anche Giappone, Corea del Sud e Svizzera), tende a frenare la protezione dei lavoratori, contenere i sussidi della disoccupazione e ridurre il cuneo fiscale (o contributivo, in pratica è la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto incassato effettivamente dal lavoratore, essendo il restante importo versato al fisco e agli enti di revidenza). L’occupazione è decisamente sopra la media dell’OCSE, mentre il numero dei senza lavoro si trova a livelli inferiori. Il secondo gruppo dei “successful” è costituito dal Nord Europa (Scandinavia, Olanda, Austria e Irlanda): sussidi fiscali e di disoccupazione alti e impiegati difficili da licenziare, ma, nello stesso tempo, il tasso medio dell’occupazione è leggermente superiore a quello del primo gruppo e viceversa per quello dei disoccupati. Questi paesi vantano un’economia globalmente più dinamica e un sistema di agevolazioni al reperimento dell’impiego che compensa gli effetti negativi degli elevati sussidi di disoccupazione. Fanno parte del terzo gruppo i paesi del Sud Europa, cui si aggiungono anche Francia e Germania. Anche qui i sussidi sono troppo alti, ma non sono stati controbilanciati da adeguati programmi di sviluppo del mercato del lavoro. Infine, nel caso dell’Europa orientale, che rappresenta il quarto gruppo, i sussidi sono relativamente bassi, ma non esistono quasi del tutto piani di reinserimento nell’impiego per i senza lavoro.

a cura © Cornèr Banca SA


Segnala un amico

Your email address *
Inserisci l'indirizzo email a cui vuoi segnalare *