Cerca:
File Icon Versione per stampa
Segnala un amico




Lavoro nel mondo
Lavoro in Italia
26-04-2005

Oscillazioni incontrollate del prezzo del petrolio

Le oscillazioni dei prezzi petroliferi disorientano gli analisti

I prezzi del greggio sembrano davvero impazziti. Attorno alla metà di aprile il mercato ha registrato variazioni di ampia portata, ma, soprattutto, è rimasto disorientato di fronte a un comportamento che in molti hanno definito bizzarro. Le cause sono ovviamente molteplici, ma non difficili da individuare, mentre è assai più problematico comprendere il significato di tanta instabilità in prospettiva futura. In poche parole, il prezzo del barile di greggio ha già raggiunto il massimo o è destinato a rafforzarsi ulteriormente?

Ai primi del mese sembrava che la risposta fosse già sul tavolo. Il prezzo del West Texas Intermediate (WTI) era schizzato verso l’alto fino ad infrangere la barriera dei 58 dollari a barile per la prima volta nella storia, scatenando le reazioni dei più pessimisti, che cominciarono a paventare rialzi a catena impressionanti, fino a quota 100 dollari. Dopo pochi giorni, invece, la traiettoria delle quotazioni svolta improvvisamente verso il basso e il WTI piomba di nuovo a 50 dollari.
Come interpretare questo movimento? Il record precedente era davvero il “peak”, la vetta prima della discesa? In realtà, grazie ad aumenti della produzione da parte dell’Opec e a miglioramenti nelle scorte americane, il greggio ha subito un deprezzamento sicuramente importante, essendo superiore al 10%, ma considerato dai più di natura temporanea.
La maggioranza degli analisti, infatti, è convinta che la tendenza di fondo resti tuttora orientata all’ascesa e che, quindi, il rincaro non si sia ancora arrestato. A conferma di ciò, durante la scorsa settimana si è stato assistito ad una nuova ripresa delle quotazioni, fino a 52/53 dollari, che sembrava volesse togliere tutte le speranze di un assestamento.

L’evoluzione del mercato petrolifero seguita, pertanto, a tenere alto il livello delle preoccupazioni. Persino il presidente George Bush ha ammesso di temere il corso dei prezzi energetici, a causa delle sue pesanti implicazioni inflazionistiche e ha chiesto maggiore trasparenza sulla politica dell’Opec.
Non a caso, giovedì scorso il presidente americano ha ricevuto rassicurazioni dall’Arabia Saudita, il primo esportatore mondiale di petrolio: con largo anticipo, infatti, il governo saudita ha confermato l’incremento della sua produzione di greggio a 9,5 milioni di barili al giorno. Riad ha anche manifestato una chiara disponibilità a promuovere ulteriori aumenti, nel caso in cui la situazione sul fronte dei prezzi lo richiedesse.
Notizie rassicuranti, da un lato, ma non sufficienti a fugare tutti i timori. La stessa Federal Reserve ha deciso di mantenere inalterata la strategia di graduale rialzo dei tassi d’interesse, volta a tenere sotto controllo i prezzi, proprio per controbilanciare il Rischio di accelerazioni inflazionistiche; ciononostante, la Fed dovrà osservare minuziosamente l’andamento congiunturale, in special modo l’occupazione e la fiducia dei consumatori, per cui la progressiva ripresa del costo del denaro dovrà essere gestita con estrema cautela. Il governatore Alan Greenspan, per calmare ancora di più le acque, è intervenuto al Congresso giovedì, tranquilizzando i mercati su Inflazione e crescita lenta, escludendo i pericoli di una stagflazione.

Certo è, però, che con un mercato così irregolare è difficile abbassare il livello di guardia. Del resto alla base dell’instabilità del greggio si pongono diverse ragioni, sia tecniche che fondamentali.
Sul lato della domanda, per esempio, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) ha recentemente segnalato che, tra gennaio e febbraio, gli acquisti cinesi di petrolio hanno rallentato il passo ed è quindi venuto a mancare il sostegno di uno dei maggiori acquirenti di greggio degli ultimi anni. Pur essendo balzate nuovamente del 23% a marzo, le importazioni cinesi di greggio sono arretrate dell’1,6% nel primo trimestre di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2004. Ciò avrebbe contribuito a far oscillare le quotazioni del barile, unitamente ad una parallela impennata dell’offerta; sempre a marzo, infatti, la produzione dell’Opec è salita di 300mila barili al giorno.
La precarietà del mercato è inoltre generata anche da un aspetto assai delicato:la presenza degli speculatori.Contro le loro manovre hanno scarso potere di successo persino gli sforzi dell’Arabia Saudita e degli altri membri dell’Opec. I dati ufficiali rivelano che le posizioni a lungo (che scommettono su prezzi più elevati) detenute da investitori non commerciali sono salite ai livelli massimi annuali; gli “hedge funds” figurano tra i maggiori imputati dell’impennata dei prezzi petroliferi e, a quanto risulta da recenti informazioni, ad essi si stanno ora affiancando anche i fondi pensionistici.
I loro acquisti sul mercato del greggio sono stati accelerati dalla possibilitàdi incassare allettanti plusvalenze che, al contrario, sembrano sempre meno prevedibili attraverso altre forme di investimento (azioni e obbligazioni), normalmente più consone agli investitori istituzionali. Tali massicce manovre di acquisto non sono state tuttavia controbilanciate da altrettante vendite sul mercato dei future ed è per questo che i prezzi sono continuati a salire.

a cura di Corner Bank www.corner.ch


Segnala un amico

Your email address *
Inserisci l'indirizzo email a cui vuoi segnalare *