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14-09-2005

Effetto Cina sempre piu' pervasivo

Per quanto possa apparire un argomento ripetitivo, l’impatto dell’apertura cinese sull’occidente industrializzato è ormai divenuto il fulcro delle dissertazioni quotidiane tra i maggiori economisti e politologi del mondo. Il dibattito si è fatto ancora più serrato dopo lo scorso 21 luglio, giorno in cui il governo di Pechino ha impresso una svolta significativa alla politica monetaria interna, abbandonando il cambio fisso con il dollaro e rivalutando la divisa nazionale. Attesa da diversi anni,
tale manovra non poteva che suscitare comprensibili reazioni di plauso nella platea internazionale (ma non di entusiasmo!), sebbene le sue reali conseguenze sull’economia mondiale siano attualmente difficili da individuare.
Ma è solo l’operazione valutaria in se stessa che interessa gli analisti oppure
vi sono altri aspetti della questione, che stanno assumendo contorni vieppiù marcati?

La seconda parte della domanda è quella che trova riscontro nella realtà.
In effetti, l’impatto sempre più pervasivo della Cina sulle principali economie mondiali non deriva solamente dal fattore valuta, bensì da un mix di ingredienti decisamente composito. La rivalutazione dello yuan è stata per anni oggetto di forti pressioni internazionali sul gigante giallo, poiché si riteneva che questa fosse la soluzione per porre rimedio allo squilibrio commerciale tra Cina e mercato estero. In particolare, gli USA hanno sempre puntato il dito sul fatto che la Cina, esportando beni e servizi a prezzi visibilmente concorrenziali grazie alle speciali condizioni valutarie, abbia contribuito in massima parte al rigonfiamento del disavanzo commerciale americano. Rivalutando lo yuan, secondo Washington, questo vantaggio competitivo a favore di Pechino dovrebbe finalmente ridursi.
Un’opinione condivisa anche dalla maggioranza degli altri partner commerciali della Cina. Pur ammettendo che lo yuan nel prossimo futuro accresca il proprio
valore in maniera incisiva (l’attuale 2,1% a molti sembra solo un palliativo), si può asserire con certezza che ciò sarà sufficiente a riequilibrare i rapporti commerciali con le altre economie mondiali?
In base a quanto si desume da uno studio pubblicato a fine luglio sul settimanale britannico “The Economist”, sembrerebbe di no. Il succo di questa ricerca dice, in pratica, che l’influenza della Cina sull’economia mondiale non deve essere misurata solo in termini di cambio valutario e nemmeno di export e surplus commerciale, poiché il graduale passaggio di Pechino verso l’economia di mercato è animato da forze molto più profonde.

Anzitutto l’analisi in oggetto parte dal presupposto che la Cina non può essere considerata indiscriminatamente la causa principale del deficit commerciale americano; quest’ultimo, infatti, affonda le radici in quell’eccessiva propensione al
consumismo tipica del mercato USA, che, proprio per questa sua peculiarità, ha facilmente assorbito l’afflusso di importazioni cinesi a basso costo (e sovente anche di scarsa qualità!). Uscendo da questi aspetti socio-economici legati alla realtà statunitense e riportando l’obiettivo su un piano mondiale, non si può disconoscere che la Cina da anni stia agendo da vero e proprio propulsore dell’economia globale.
Un esempio calzante a questo proposito è una notizia di pochi giorni fa: la Camera di Commercio parigina ha reso noto che a Parigi
ci sono oltre 3000 aziende guidate da imprenditori cinesi e che, tra gli stranieri che hanno avviato un’attività nella capitale francese, i cinesi si collocano addirittura al quarto posto. Quanto sta accadendo a Parigi non è altro che lo spaccato di una situazione che si sta diffondendo a livello mondiale. I cinesi non sono dunque solo
esportatori di beni di loro produzione, ma hanno spostato il loro campo d’Azione muovendosi direttamente all’estero con l’apertura di nuove realtà aziendali. Inoltre, la rapida crescita congiunturale cinese ha accresciuto il fabbisogno di importazioni, il che si è tradotto in un incremento produttivo nelle nazioni che intrattengono importanti relazioni commerciali con il gigante giallo.
Altro esempio calzante è la scalata vertiginosa dei prezzi petroliferi. È ormai accertato che la domanda di greggio proveniente dalla Cina ha influito in maniera significativa sulla rocambolesca fuga verso l’alto del prezzo del barile. La Cina è
anche il maggior consumatore al mondo di materie prime quali alluminio, acciaio, rame e carbone e, inoltre, grazie alla spinta della locomotiva congiunturale, nel passato decennio le importazioni sono aumentate allo stesso ritmo delle esportazioni. La somma delle importazioni e delle esportazioni di beni e servizi rappresenta circa il 75% del Pil cinese, un livello elevatissimo se si considera che in paesi come il Giappone o l’India questo rapporto non supera il 30%.

Tutto ciò spiega perché il risveglio del dragone e la sua apertura verso il libero mercato siano divenuti così condizionanti per il resto del pianeta.
Occorre inoltre considerare che l’ingresso della Cina (come pure dell’India e della Russia) sulla scena globale ha raddoppiato il totale della forza lavoro. Ciò significa che il potenziale di crescita economica è aumentato a livello mondiale, ma le “new entries” operano a un regime di costi del lavoro marcatamente inferiore e quindi
più competitivo rispetto a quello dell’occidente o del Giappone. La necessità di comprimere i costi operativi per rimanere concorrenziali, ha conseguentemente inciso sull’ondata di riorganizzazioni e ristrutturazioni aziendali che ha accompagnato l’imprenditoria occidentale nel passato ventennio. In numerosi paesi industrializzati, il livello dei salari è addirittura sceso al minimo degli ultimi decenni. Il risultato finale, amplificato dai vantaggi derivanti dalla tecnologizzazione, è stato quello di veder lievitare i margini di profitto sui bilanci di molte imprese. Senza trascurare anche l’incidenza sul tasso inflazionistico mondiale, anch’esso tenuto sotto pressione dalla concorrenzialità dei prodotti cinesi.
Quanto detto finora è solo una parte della stretta correlazione esistente tra
l’apertura dell’economia cinese e l’andamento congiunturale nel resto del mondo. Vi sarebbero ulteriori approfondimenti da sviscerare, ma gli esempi riportati dovrebbero essere sufficienti ad escludere che si possa misurare l’effetto Cina sul mondo solo dal profilo valutario. In realtà, si tratta di un fenomeno molto più pervasivo di quanto possa emergere da un’analisi sommaria.
a cura di Cornèr Banca SA


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