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Lavoro nel mondo
Lavoro in Italia
28-06-2010

G20, la paura di fare le cose giuste ma impopolari

Promesse da parte europea di riduzione dei deficit per il 2013 che chiaramente si scontrano con l'ondata di scioperi che sta investendo il continente.
Riteniamo che l'opposizione che sta incontrando la Finanziaria in Italia sia un vero danno per l'economia. L'Italia non ha bisogno di giornate di sciopero generale come quella di venerdi' contro la migliore manovra mai votata nella recente storia italiana. Ma lo stato di sospensione dalla realtà che tali proteste dimostrano si giustifica per la impossibilità di riconciliare le dichiarazioni dei politici solo precedenti alla faccenda greca con l'attuale richiesta di sacrifici: sembrava che i problemi fossero solo statunitensi e che l'Europa fosse un'isola felice.
Un esempio chiaro di questa gestione errata della comunicazione viene dalla banca centrale svizzera: il franco continua a rivalutarsi per le dichiarazioni dei funzionari svizzeri che, pur dipendendo la Svizzera per circa due terzi della sua economia dallo scambio con l'Europa, continuano a sostenere che il piccolo paese, accerchiato da giganti con i piedi di argilla vedrà una discreta ripresa economica nei prossimi mesi: troppo diffficile dire ai cittadini svizzeri che con un sistema finanziario controllato da due banche ed un' industria esportatrice messa in ginocchio dal tasso di cambio, il paese è a Rischio di crisi sistemica.
Per troppi anni la politica in occidente ha venduto all'opinione pubblica un'immagine diversa dalla realtà perchè un qualsiasi governo o banca centrale che dicano come stanno le cose - è stato il caso del precedente governo britannico - non se ne vada a casa immediatamente. Tuttavia sarebbe l'unico atteggiamento serio con cui affrontare i problemi. Non a caso la Gran Bretagna è il solo paese europeo a sostenere una tassa sulle banche: con il proprio realismo ha già fatto passi avanti nella bonifica del sistema finanziario che gli altri paesi occidentali non hanno neanche iniziato a considerare.
Purtroppo gran parte di questo atteggiamento trova le sue radici nel pericoloso sodalizio tra finanza e politica. Politici e banchieri centrali ricevono regolarmente ingaggi milionari dalle istituzioni finanziarie a fine mandato: meglio andarsene dalla politica senza essere ricordato per misure impopolari.
Introdurre codici di comportamento per cui alla fine del mandato un politico non possa ricevere incarichi privati, magari pagandolo bene durante il suo incarico pubblico, sarebbe un passo nella giusta direzione. Fin che questo non accadrà è ben difficile chiedere alla gente sacrifici che banchieri e politici non si sognano di provare sulla propia pelle.
Inizia questa settimana la stagione delle trimestrali americane. Il dato di giugno sull'occupazione potrebbe segnare il primo calo dall'inizio della "ripresa".
Pensiamo quindi che la previsione inflazionisitica che si manifesta nell'attuale prezzo dell'oro sia del tutto ingiustificata. I tassi saliranno, ma quelli reali, poichè gli investitori chiederanno un maggior premio per il Rischio di comprare debito pubblico. Ma l'Inflazione rimarrà a nostro parere molto contenuta: la domanda non c'è e le banche centrali non possono continuare a stampare moneta che tanto va nelle casse delle banche anzichè alimentare il credito.
A riguardo delle promesse di riduzione dei deficit pubblici che fanno salire oggi i mercati, si tratta dell'ennesima prova di comunicazione fallace da parte della politica: tali obiettivi non sono raggiungibili senza un severo taglio all'impiego pubblico e alle pensioni. Queste due misure porterebbero tuttavia ad una ulteriore diminuzione del reddito disponibile delle famiglie, acuendo ora la gravità della recessione e dimunendo il gettito fiscale. Sarebbe la cosa giusta da fare, ma non consentirebbe certo alle finanze pubbliche di diminuire il disavanzo primario in due anni. Il problema non risiede nel cercare di tutelare un'occupazione poco produttiva, come è il caso di larga parte delle economie occidentali, ma di riqualificare l'occupazione: una politica industriale che investa seriamente in formazione e tecnologia nelle energie rinnovabili è del tutto assente. Avremmo poli tecnolgici di eccellenza come quello creato da Brembo alcuni anni fa, ma alla fine gli imprenditori, scoraggiati, vanno come insegna il caso Brembo a produrre in oriente.
Come scrive l'economista Krugman nel fine settimana sul New York Times, potremmo torvarci all'inizio della terza Depressione dall'inizio della rivoluzione industriale del dicannnovesimo secolo.

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