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20-10-2007

I nuovi padroni del G7

Erano in pochi ad aspettarsi qualcosa di nuovo da questo G7. Incapaci di promuovere un Azione coordinata nei confronti del dollaro (il problema è evidentemente molto meno serio per i tedeschi, che esportano molto all'interno della comunità, che per francesi ed italiani) gli europei si schierano a fianco del segretario del tesoro americano ad invocare sterilmente l'adozione di maggiore flessibilità sui cambi da parte della Cina. I rappresentanti cinesi rispondono come al solito che nel medio periodo le richieste dei partner occidentali saranno soddisfatte, consci della propria forza contrattuale.
Non è chiaro perchè le banche centrali non considerino gli squilibri valutari un loro problema nè quale sia il ruolo del Fondo Monetario Internazionale, assolutamente incapace, come sostenuto in questi giorni da parecchi economisti ,di svolgere alcuna operazione persuasiva nei confronti della Cina.
Questi impicci diplomatici si risolvono sempre in modo traumatico. Puo' succedere che Cina e Giappone, come è successo in Agosto, continuino a vendere titoli di stato americano per contenere le pressioni inflattive interne, con probabili conseguenze pesanti sulle divise asiatiche più sopravvalutate (nessuno sembra vedere i paralleli con la crisi asiatica di dieci anni fa).
Oppure che il mercato azionario cinese crolli, diminuendo simultanenamente la pressione sulla bilancia dei capitali interna.
La Cina non è ancora una democrazia e se non saranno i mercati a riequilibrare le distorsioni, ci penseranno le tensioni sociali (la settimana scorsa l'Economist ricordava come il divario di povertà tra le popolazioni urbane ed i contadini si stia allargando).
E' evidente che le situazioni implodono con tempistiche imprevedibili, ma il mercato deve inizare a rendersi conto che nè banchieri centrali nè autorità sovranazionali hanno alcuno dei poteri divinatori che continua ad essere loro attribuito. La mancanza assoluta di concertazione nelle aziioni delle banche centrali ed iniziative dubbie come quella di Paulson di promuovere un fondo comune che reimpacchetti i crediti incagliati delle banche in una nuova veste (ma Parmalat non funzionava così?) non aggiungono credibilità a queste istituzioni.
Il Giappone potrebbe a nostro parere cogliere una formidabile occasione in questa situazione. Se promuovesse, contro l'opinione del mercato, una rivalutazione della propria divisa unita ad un graduale aumento dei tassi, troverebbe negli europei e nei canadesi, che da soli stanno sostenendo l'onere di riaggiustamento del dollaro, grandi alleati. Dopotutto l'Europa macina 13 Miliardi di Euro di deficit commerciale con il Giappone; se come probabile non c'è da aspettarsi un gran che dalle pressioni a rivalutare lo yuan, il Sol Levante, ed il suo pimo ministro Fukuda, uomo equilibrato, hanno tutte le carte in regola per giocare un ruolo decisivo nel riequilibrio di tensioni altrimenti destinate a conseguenze pesanti.



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