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02-07-2008

Marchionne, il mistero buffo dei manager strapagati

Alcuni anni fa, col titolo a 4 euro, la Fiat era data per fallita. Per sottrarre l'azienda al controllo delle banche la holding di famiglia si inventò un'operazione, l'asset Swap sulle azioni della casa automobilistica, che avrebbe attirato l'attenzione di più di una autorità di controllo. Poco dopo arrivò Marchionne, sino allora alla guida di Surveillance, società svizzera di controllo qualità. Nel giro di due anni Fiat diventò, non abbiamo mai tanto capito perché, il simbolo del rilancio italiano: titolo a quasi 25 euro con previsioni oltre i 30, su un paio di modelli ben riusciti ed una buona operazione di immagine, ma, dopo il divorzio da General Motors, nessuna idea concreta su motori di nuova generazione nel segmento più rimunerativo delle ammiraglie.
Oggi il titolo è a 10 euro e tutti si affrettano ad emettere raccomandazioni di vendita e, caso curioso, colui che fu additato come il responsabile di un rilancio che aveva i contorni del miracoloso, annuncia di assumere nuove responsabilità in un'altra società decotta. Fare banca è vero non è una attività che richieda del genio creativo:basta già non indebitarsi per 60 volte i Mezzi propri come fecero le precedenti guide di Ubs ed evitare di aiutare i cittadini statunitensi a evadere il fisco per sembrare già più intelligenti; ma non esiste essere umano in grado di guidare al rilancio allo stesso tempo una banca ed una società automobilistica; come fu il caso dei paesi sudamericani per lungo tempo, oggi l'Italia, ma anche un pezzo di Europa, sono in mano ad un manipolo di manager, spesso graditi al potere politico che incassano compensi stratosferici: tra pubblico e privato, i compensi dei primi 1000 manager italiani per guadagni valgono poco meno di un terzo di una Finanziaria dello stato. Eppure il mercato continua a credere al mito del superuomo, dimentico del fatto che una società civile si basa prima di tutto sul rispetto collettivo delle regole di convivenza e sull'accorciamento delle disparità, pure nel rispetto di un principio di meritocrazia.

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