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Lavoro nel mondo
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27-07-2005

Un' occasione storica per Nord e Centro America

La Camera dei Rappresentanti del parlamento statunitense dovrà esprimere, entro breve, il proprio voto su un accordo commerciale di grande rilevanza per i due emisferi del continente americano. Il “Dominican Republic-Central American Free Trade Agreement”, questo è il nome del documento in esame, sembra infatti
riservare grosse opportunità commerciali ed economiche, non solo per
i paesi centramericani interessati, ma anche per gli stessi Stati Uniti.

Questo è il parere espresso da autorevoli voci del mondo politico americano e riportato, la scorsa settimana, dal quotidiano “Financial Times”. Secondo gli autori dell’articolo, l’accordo di libero scambio commerciale tra USA e America centrale, già approvato dal Senato e attualmente al setaccio dell’altra ala del Congresso di
Washington, potrebbe ora incontrare molte più resistenze del previsto considerate le forti controversie che ha sollevato.

Le ragioni non sono così difficili da comprendere. Benché negli ultimi quindici anni l’America latina abbia compiuto indiscutibili progressi nel tentativo di istituire governi democratici e porre solide basi per lo sviluppo economico, nel resto del
mondo sussistono ancora atteggiamenti di sfiducia che offuscano l’immagine reale di queste nazioni. È vero, da un lato, che il loro processo di recupero non si è ancora ultimato, ma, dall’altro, non si può disconoscere che anche l’America centrale, come buona parte dell’America del Sud, è lontana dai turbolenti anni
Ottanta, caratterizzati da estrema instabilità politica, dura repressione e
devastanti guerre civili. Oggi i governi sono guidati da presidenti eletti
dal popolo, perlopiù impegnati a riformare le carte costituzionali dei
loro Stati; vi è inoltre un consenso popolare su libertà di espressione,
uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e libera iniziativa imprenditoriale. Malgrado ciò, come detto, il capitolo non si può considerare chiuso: povertà, deboli istituzioni politiche ed economie travagliate rappresentano tuttora il tallone di Achille di tutta l’America centrale. Ed è proprio questo il fattore principale che
fa Leva sulla diffidenza di molti esponenti politici americani e di una parte
dell’occidente industrializzato.
I paesi contemplati in questo controverso accordo sono, oltre alla Repubblica Domenicana, Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua e
Costa Rica. Un’apertura degli scambi commerciali con l’emisfero nord apporterebbe indubbi benefici economici a queste nazioni, ma, nello stesso tempo, costituirebbe anche una storica opportunità per gli USA, intenzionati
a salvaguardare i propri interessi finanziari, politici e di sicurezza in tale area del continente americano.
I vantaggi per l’America centrale sarebbero indiscutibili, poiché un accesso agevolato al mercato statunitense per economie tuttora sottosviluppate rappresenta un trampolino di lancio per le esportazioni e, di conseguenza, per la crescita economica; il che avrebbe ottime ricadute sull’intera società, soprattutto per quanto concerne la lotta contro l’indigenza. Per gli Stati Uniti, invece, la
ratifica di detto accordo sembra essere giustificata dal fatto che quasi
l’80% delle importazioni provenienti dalle nazioni centramericane è già esente da dazi. Va inoltre tenuto presente che l’accordo in questione, oltre a possedere notevole valore per i suoi sbocchi economico-commerciali, contiene anche una serie di normative riguardanti le politiche anti-corruzione, gli approvvigionamenti governativi e gli investimenti finanziari. Tali regole sono state concepite con il preciso intento di rendere più trasparenti e moderni gli apparati statali di tali nazioni.
Vi è anche un altro aspetto che sta particolarmente a cuore ai parlamentari di Washington: la lotta contro l’immigrazione clandestina. L’accordo tra le due Americhe, secondo i suoi sostenitori, dovrebbe rivelarsi una tappa essenziale verso la soluzione di questo annoso problema, originato dalla mancanza di garanzie di
sopravvivenza e dall’irreperibilità del lavoro nei paesi nativi. Con il tempo,
l’afflusso di immigrati negli USA ha creato una situazione divenuta insostenibile e che, per poter mutare radicalmente, necessita di una ripresa economica nelle nazioni centramericane tale da rimettere in movimento la macchina dell’occupazione interna.
Ed è proprio questo il punto più dibattuto e meno convincente dell’accordo di libero scambio. I suoi detrattori, infatti, asseriscono che il documento in questione contenga scarsi provvedimenti concernenti il miglioramento dell’occupazione e la
capacità dei governi di creare nuovi posti di lavoro. Viceversa, i sostenitori fanno notare che, per la prima volta, è stato stilato un accordo che prevede anche una sorta di esercitazione per i paesi interessati a proteggere il loro mercato del lavoro e a rafforzare il controllo contro gli abusi e l’illegalità.

Le questioni sul tappeto sono dunque molteplici, poiché altrettanto complesso è il quadro socio-economico posto sotto esame. D’altro canto, nessuno ritiene che l’accordo possa dirimere di colpo tutte le storture venutesi a creare negli anni delle
peggiori traversie congiunturali e del disastro politico. L’eredità del passato, contrassegnata da un pesante sottosviluppo, è ancora molto visibile in questa fascia dell’America centrale e, come detto, la povertà resta tuttora un male oscuro. Ma vi è un desiderio comune tra Nord e Sud di ristabilire la democrazia e alimentare la crescita nelle aree sottosviluppate, attraverso relazioni sempre più interdipendenti. L’accordo di libero scambio in esame a Washington potrebbe pertanto rivelarsi una delle migliori opportunità degli ultimi anni.

a cura di Cornèr Banca


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