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01-10-2010

Banche europee, i segnali dovrebbero essere ascoltati

Ieri UBS ha annunciato che non pagherà dividendi per un periodo da definirsi a causa della necessità di aumentare i requisiti patrimoniali in vista di Basilea 3. Come nel caso dell'aumento di capitale di Deutsche bank, la decisione è inspiegabile se messa in relazione alle misurazioni degli stress test dell'inizio estate, dove la banca svizzera ussciva, come nel caso di quella tedesca, con requisiti circa doppi di quelli previsti da quel trattato, che comunque lascia alle banche otto anni per adeguarsi.
Come nel caso del Banco Popolare dell'altro ieri, che si è affrettato a negare la necessità di un aumento di capitale di cui invece avrebbe estremamente bisogno, nessuno è disposto ad informare sulla reale situazione dei bilanci. Ma, il fenomeno è evidente sui rendimenti richiesti dal mercato obbligazionario sul debito degli stati più indebitati, in questa colossale finzione il mercato già richiede, almeno sul debito pubblico, tassi di rendimento che ne ipotizzano un parziale Consolidamento.
Il rendimento del decennale irlandese sconta già ad esempio che una quota di debito valuteremmo intorno al 20 per cento debba essere ristrutturata. Dicendolo chiaramente si eviterebbe che la speculazione azzardi ipotesi ancora più catastrofiche.
Ma se questo è vero per il debito pubblico, non può non risultare prima o poi in una violenta caduta dei corsi delle principali banche, che ne detengono circa 2 triliardi di euro in giro per l'Europa.
Parlando con operatori di mercato e clienti di banche ci capita spesso di intendere che la percezione comune sia quella di una storia che questa volta sconfigge le leggi della fisica, che punta quindi ad un miracoloso risanamento del sistema finanziario. Ma i mercati sono oggi sostenuti da una comunicazione fallace, che, come sempre nella storia, mostrerà prima o poi la propria inefficacia


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