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20-04-2005

Europa a caccia di nuove ricette economiche

La nascita dell''euro e gli eventi che hanno contrassegnato l''economia del Vecchio continente, negli anni successivi, occupano tuttora un ruolo centrale nella definizione delle strategie politiche europee.


Nella fattispecie, i principali paesi membri dell''Unione Economica e Monetaria (UEM) si trovano confrontati con problemi congiunturali, che tendono a rallentare la ripresa della crescita e a rimettere in discussione il ruolo stesso dei rispettivi governi. Se, cinque anni fa, la loro attenzione si focalizzava sul tasso di cambio tra il dollaro e la nuova moneta unica comunitaria, la cui forte debolezza aveva inizialmente fatto da supporto alle esportazioni europee, oggi lo sguardo va diretto altrove, perché la situazione si è rovesciata.

Nel passato biennio, infatti, l''euro si è sensibilmente rivalutato nei confronti del biglietto verde e, quindi, non può essere considerato ulteriormente un fattore concorrenziale per lo scambio commerciale con l''estero. Il venir meno di questo sostegno e la pressante competitività internazionale hanno fatto riemergere le storture delI'' economia delI''UEM, la cui attuale debolezza è più radicata di quanto emerga da un'' analisi sommaria.
Di fronte a un quadro dalle tinte così fosche l''interrogativo ricorrente tra gli analisti è, pertanto: qual è l''antidoto ai malanni del Vecchio continente?
Data la poIiedricità delle varie problematiche nazionali non è ovviamente ipotizzabile una soluzione univoca per tutti i membri dell''UEM; si pensi, a tal proposito, alle diversissime realtà presenti in Francia, Germania e Italia, i cui Pil sommati insieme rappresentano il 70% del totale.

Benché una panacea non esista, la maggioranza degli economisti concorda tuttavia su un punto focale, comune a tutti: occorre rafforzare la competitività sul piano internazionale.
Un traguardo non certo raggiungibile, aspettando che le oscillazioni del mercato valutario si orientino in favore di un nuovo deprezzamento dell'' euro.
La cosiddetta zona di "Eurolandia", in realtà, necessita di riforme chiare e mirate a migliorare quegli aspetti della congiuntura, che possono concretamente ampliare la capacità di proporsi sul mercato mondiale in termini più competivi.

Tali riforme, però, non riguardano solo l''UEM in senso globale.
L''armonizzazione tra i membri dell''unione è una strada da continuare a percorrere per ottemperare agli obiettivi stabiliti nel Trattato di Maastricht, ma, nello stesso tempo, i singoli stati membri devono impegnarsi individualmente, intervenendo a livello delle proprie strutture nazionali.

Secondo un''analisi pubblicata alcuni giorni fa sul "Financial Times", per comprendere la portata dell''argomento in questione è di fondamentale importanza mettere a fuoco le cause della sua complessità.
Non c''è bisogno di un esame particolarmente approfondito per scoprire che i malesseri dell''UEM sono di natura eterogenea: prodotto interno lordo basso, disoccupazione elevata, sistema sociale costoso, finanze pubbliche indebolite, senza tralasciare la presenza di svariati gruppi di interesse che, per varie motivazioni, osteggiano i tentativi di riforma, rallentandone l''attuazione.

L''insieme di questi aspetti ha interagito sul calo delle qualità competitive dei prodotti e dei servizi dell''UEM.
In aggiunta, recentemente, la crescente pressione proveniente dalla Cina, dall''India e da altri paesi asiatici che stanno invadendo il mercato internazionale, sferrando duri colpi alla concorrenzialità europea, non ha fatto altro che esacerbare questa distorsione.
A detta degli esperti, pertanto, urge una nuova presa di coscienza da parte dei governi europei, sebbene sia opinione assai diffusa che, dopo la nascita dell'' euro, le loro possibilità di Azione siano molto più limitate di prima.

L''intervento delle istituzioni governative sembra sia rimasto concentrato solo in poche aree, come il mercato del lavoro e la politica fiscale.
In realtà, negli anni ''80 e ''90, molti stati europei avevano avviato una serie di riforme allo scopo di facilitare la stabilità monetaria, la riduzione del disavanzo pubblico, la privatizzazione, la flessibilità nel mercato del lavoro, oltreché una revisione del sistema fiscale.

Una parte non indifferente di tali riforme è stata successivamente congelata con l''avvento deIl''euro.
Tra il 2003 e il 2004, la ricomparsa della stagnazione economica e le problematiche legate alla competitività industriale hanno fatto riaffiorare la necessità di portare a termine l''opera incompiuta.
Quello che risulta chiaro, inoltre, è che alcune nazioni europee hanno risentito della sfi- da internazionale in maniera molto più aggressiva di altre e che, pertanto, gli ostacoli al progresso variano sensibil- mente da paese a paese.

La Germania, che è il principale membro dell''UEM, ha reagito abbastanza velocemente e in maniera radicale. Dopo essersi trascinata a lungo il pesante fardello dei costi dovuti alla riunificazione, con l''inizio del nuovo millennio le società tedesche hanno dato un giro di vite, cominciando a ridurre gli organici e gli investimenti.
L''immediata ascesa della disoccupazione e il crollo del gettito fiscale hanno provocato un deterioramento del quadro macroeconomico, al quale il governo ha deciso di rispondere due anni fa, con un programma di riforme specifico per il mercato del lavoro.
Oggi la Germania può vantarsi di aver recuperato gran parte della competitività perduta negli anni ''90.

L''esempio della Germania è stato seguito dalla Francia, anch''essa impegnata a risolvere le problematiche del mercato del lavoro, penalizzato soprattutto da una diminuzione della produttività.

In Italia, invece, i problemi sono molteplici tra cui anche quelli di una scarsa propensione ad investire nella Ricerca e nello Sviluppo, un settore chiave per restituire capacità competirive alle aziende. Ma il quadro italiano è diverso da quello tedesco e francese, essendo prevalentemente rappresentato da società di piccole e medie dimensioni, spesso a carattere familiare.

Per migliorare la competitività, in ogni modo, i governi europei hanno bisogno di non combattere le richieste sindacali e degli altri gruppi di interesse, ma di sedersi al tavolo dei negoziati per studiare soluzioni di compromesso. E anche sotto questo profilo l''impegno non sarà, ovviamente, di poco conto.

a cura di Anna Russo - Corner Bank


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