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29-05-2005

La nullita' del contratto di credito al consumo

Nullita' per mancanza di elementi descrittivi.


Il contratto di prestito, finalizzato all’acquisto di un bene di consumo, è inquadrabile nella categoria del credito al consumo disciplinata dagli artt. 121–126 del T.U. Bancario – D.lgs 1° settembre 1993, n. 385, vale a dire di quei finanziamenti erogati nell’esercizio dell’attività professionale di un intermediario finanziario nei confronti di una persona fisica che ha agito per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale o professionale.
Esso differisce dal mutuo e da altro tipo di credito personale. Infatti, la sua natura di prestito finalizzato risulta evidente, se solo si tiene conto che nei moduli predisposti dalle banche, viene riportata la dichiarazione ai sensi della quale il privato da atto che il prestito in oggetto è strettamente funzionale all’adempimento dell’Obbligazione che su di esso grava, quale acquirente di merce, servizio o prestazione indicata, e che tale qualificazione funzionale del prestito ha costituito elemento essenziale e determinante per la Banca alla concessione del prestito medesimo.

Nella prassi accade sovente che in violazione dell’art. 124 n.3 T.U. Bancario il contratto non riporti: 1) la descrizione analitica dei beni e dei servizi acquistati con la somma prestata; 2) il prezzo di acquisto in contanti, il prezzo stabilito dal contratto di vendita e l’ammontare dell’eventuale acconto. La parte che doveva contenere tali indicazioni è, quindi, lasciata in bianco.
Detta omissione è sanzionata dalla succitata norma con la nullità del contratto di prestito. Tale nullità ha però delle caratteristiche del tutto peculiari.

L’art. 124 del T.U. Bancario prescrive gli elementi minimi del contratto di credito al consumo, che vale la pena di ribadire deve rivestire la forma scritta. In particolare, ai sensi del 3° comma, devono essere riportati nel contratto di credito, a pena di nullità: a) descrizione analitica dei beni e dei servizi; b) il prezzo di acquisti in contanti, il prezzo stabilito dal contratto e l’ammontare dell’eventuale acconto. In assenza dei suddetti elementi, constatata la mancanza di un meccanismo integrativo normativamente predisposto, si deve ritenere, quindi, radicalmente nullo il contratto di credito al consumo.

L’art. 127 del T.U. stabilisce che le suddette disposizioni possono essere integrate solo in senso più favorevole al cliente e soprattutto che la nullità di cui all’art. 124 può essere fatta valere solo dal cliente. Stante il suo carattere relativo, detta nullità non può essere rilevata quindi ex officio e riveste conseguentemente la natura di eccezione in senso stretto, come tale rilevabile non oltre il termine di cui all’art. 180 comma 2, c.p.c. (contra Pretura Bologna, 4 gennaio 1999
)

Nei contratti di credito al consumo gli intermediari inseriscono solitamente anche la clausola “solve et repete” ex art. 1462 c.c. (Es. “Non posso proporre azioni ed eccezioni al fine di omettere o ritardare la prestazione dovuta se non Vi avrò versato prima l’importo delle rate da Voi ancora, a quel momento non riscosse”). La suddetta clausola non esclude, tuttavia, il ricorso alla tutela poc’anzi descritta, proprio perché ai sensi del richiamato art. 1462 c.c. essa non si applica alle eccezioni di nullità ed analogicamente alle azioni di nullità.

L’accoglimento dell’eccezione di nullità, ad esempio in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, pone il problema di quali siano i rimedi azionabili dall’intermediario finanziario. Una volta formatisi il giudicato, a parere di chi scrive, l’Azione ex art. 2033 c.c. (indebito oggettivo) deve essere esercitata nei confronti dell’accipiens, colui che ha ricevuto il pagamento indebito, il quale, nella pratica, è il fornitore del bene e non il consumatore.
Peraltro, come stabilito dalla Cassazione (Cass. 4 agosto 2000, n. 10227) “la legittimazione attiva all’esercizio dell’Azione di ripetizione dell’indebito spetta al soggetto cui sia legalmente riferibile il pagamento non dovuto, anche se trattandosi di persona giuridica, l’incaricato dell’operazione materiale di pagamento abbia dovuto rivalere l’ente preponente dell’esborso erroneamente eseguito, in virtù di rapporti interni con esso intercorrenti”.


(articolo tratto da www.tidona.com
di Giandiego Monteleone, avvocato in Taranto)

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